venerdì 27 giugno 2014

Live report: Turbonegro@Circolo Magnolia, Milano

Per una volta la foto è mia

Dopo aver finalmente terminato il mio ultimo incarico in ************ per eliminare *********, posso con un po' di ritardo recensire il concerto dei Turbonegro a Milano.

Che dire, non è una recensione qualsiasi per me:  quando tolgo l'uniforme mimetica ne indosso una in denim, il mio kutte da prez della Turbojugend Milano. Facile immaginare la mia trepidazione non appena ho saputo che i ragazzi dell'apocalisse sarebbero tornati in città dopo tanti anni, per la prima volta in versione anglo-norvegese col londinese Tony Sylvester alla voce.

Un caro amico mi dà la possibilità di intrufolarmi al Magnolia fin dal pomeriggio. Nonostante la giornata fino a quel momento piovosa, quando arriviamo il tempo è della nostra e il cielo è abbastanza sereno. I fonici stanno finendo quella noiossissima quanto indispensabile operazione che è il check dei singoli strumenti, e dopo poco si palesano i nostri in abiti civili ma ciononostante forse più improbabili di quelli di scena.
Parte il soundcheck della band, prima con un paio di pezzi strumentali, poi al completo; mi piazzo davanti al mixer e mi gusto fino infondo il privilegio di vedere la band suonare - involontariamente - solo per me.
La band sembra in forma, con un sound energico e solido. Anche Tony promette bene, avendo trovato un buon equilibrio vocale tra le sue radici hardcore e il repertorio deathpunk del gruppo.

Ci infiltriamo nel backstage ancora incustodito per una foto e qualche autografo. Tommy Manboy e Tony sono estroversi, gli altri più riservati ma tutti gentili e amichevoli; si guardano tutte le toppe che ricoprono il mio kutte e scambiamo due chiacchere. . Non approfittiamo troppo della nostra presenza a sgamo, salutiamo, ringraziamo e andiamo a farci il primo drink della serata.

Passate le sette comincia ad arrivare un flusso crescente e costante di pubblico. Molti i fan della vecchia guardia, il jeans abbonda  e spunta qualche cappello da marinaio. Il concerto ha richiamato anche un po' di delegazioni delle Turbojugend italiane ancora attive: alcuni li ritroviamo, altri li conosciamo per la prima volta, in ogni caso è un piacevole e raro momento per fare un po' di vita di club assieme, tra una birra, una foto, una chiaccherata e le partite dei mondiali.

Rapidamente si comincia coi concerti: il primo a suonare è Diego Deadman Potron, un one man band barbuto e tatuato che sembra uscito dritto dall'Alabama. La sua postazione non è sul palco ma per terra, sotto una tettoia, dove ha sistemato batteria, microfono e chitarra. Confesso che l'idea mi rendeva parecchio scettico, invece sforna un'ottima esibizione di torrido blues garage che lascia tutti stupiti.

A inaugurare il main stage ci pensano i Leeches, in sostituzione dei Giuda. Non sono un grande fan  del gruppo, e la mia predilezione per gli assenti glam rocker romani non aiuta,  ma ammetto che i quattro punk rocker comaschi fanno una bella figura: il concerto è divertente, suonano belli tirati e scaldano il pubblico a dovere.

E arriva infine il turno dei Turbonegro. Ci spostiamo nelle prime fila, pronti per farci travolgere dall'oscurità.
Truccati e vestiti come da tradizione, attaccano subito con due classiconi: Back To Dungaree High e Apocalypse Dudes. Nonostante qualche problema tecnico, velocemente risolto, una bella partenza che conferma l'ottima impressione iniziale, in cui brillano le prodezze alla sei corde di Euroboy.  Si prosegue con You Give Me Worms, il primo singolo nonché un dei pezzi migliori dell'ultimo album. Il pubblico è caldo, poga, si dimena e canta.  Arriva il momento di porsi di una domanda fondamentale: "Where are my friends?". Naturalmente, All My Friends Are Dead ! Si prosegue con una soddisfacente scaletta che pesca da tutti i lavori da Ass Cobra in poi, tra superfavorite come Sailorman e sorprese come High On The Crime, intervallate da Tony con battute e siparietti in tributo allo spirito ironico e demenziale del gruppo. Il pubblico s'infiamma sempre di più e la temperatura sale sul palco, con Tony che rivela il suo corpulento e tatuatissimo corpaccione, con l'enorme testa di tigre sulla panza in primo piano.
Il set regolare si chiude con Get It On, ma la band ritorna rapidamente - Tony avvolto nella bandiera inglese - per un lungo bis che non poteva non aprirsi che con The Age Of Pamparius, subito seguita da una tiratissima Prince of The Rodeo. L'ultimissimo pezzo è il cavallo di battaglia, la dichiarazione dello spirito deathpunk, I Got Erection, che costringe tutti a cantare il coro a squarciagola.

La data infrasettimanale e qualche goccia di pioggia fanno allontanare buona parte del pubblico, ma per noi che rimaniamo la serata prosegue fra molto alcol e un djset più unico che raro che passa dagli Stones agli Hellacopters. Tommy Manboy ha voglia di far serata e si unisce a noi per un po' di baldoria.

Rientro a casa a notte fonda molto ubriaco e molto stanco, ma pienamente soddisfatto.

Darkness forever!!!

Bottino di guerra

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