Bè...siamo fieri di ospitare questa testimonianza di Major Emme. Siamo contenti di condividere con lei le sue impressioni. Sembra essere stato un gran bel concerto. In questo momento non ricordo se ci sono stato pure io allo Strike ma mi sembra di si, quindi capisco. Approvo. Apprezzo. Magari scrivesse più spesso. Roma sembra avere qualcosa da dire....e noi siamo in ascolto.
Major Emme soggetto di avance |
La serata prometteva bene.
La location, lo Strike, è un posto a cui è impossibile non affezionarsi: vuoi per l'ottima trattoria popolare e per i popolarissimi prezzi dei beveraggi, vuoi perché si tratta di un capannone industriale munito di rampe da skate, vuoi perché ci ho sempre visto gran bei concerti, vuoi perché sono una romantica ed è un posto pieno di ricordi, ma io allo Strike ci voglio bene.
La serata prometteva bene.
Quattro gruppi, ingresso up-to-you: i giovani Raise Your Pitch, i monolitici Romanez, i redivivi Majors, i mitici Carlos Dunga. Pubblico previsto: tanto. Ce lo sentivamo proprio che sarebbe stato tanto.
E la serata prometteva bene. Con l'avvicinarsi del gran giorno anche Ludovico (Lexicon Devils), l'instancabile e perennemente insoddisfatto organizzatore, complice anche una dedizione certosina alla causa, sembrava iniziare a rilassarsi e a pensare che sarebbe andato tutto alla grande.
La serata, insomma, prometteva bene.
A parte la pioggia, un po' seccante quando hai organizzato una serata all'aperto.
La scelta obbligata del piano B, ovvero suonare all'interno del "Pubbetto" di Strike, ha dunque trasformato una potenziale seratina all'aperto tra drink e chiacchiere con musica in sottofondo in uno dei concerti più memorabili di sempre, una sorta di massacro sul pavimento scivoloso di alcool versato all'interno di una sala che eufemisticamente definiremo "piccola", con palco a terra, perennemente affollata dagli avventori al concerto e al bancone, in cerca di riparo dalla pioggia.
La serata, dunque, prometteva più che bene.
Ai Raise Your Pitch tocca l'ingrato compito di aprire le danze: la gente non è moltissima e il livello alcolico non abbastanza elevato; il pubblico, non conoscendo bene le canzoni, è timido.
I Romanez, più che scaldarlo, lo incendiano: non voglio risultare blasfema, ma per chi non ha mai visto i Ramones dal vivo i ragazzi sono un buon palliativo. Veloci, aggressivi, divertenti, non mi stancano mai. Particolarmente in forma in questa occasione, la loro performance conta numerosi stage diving, numerosissime birre cadute a terra, innumerevoli cori e singalong. Tra la pioggia fuori e l'alcool e la musica dentro, il pubbetto è strapieno.
Ok, tocca a noi. L'ultima volta che sono salita su un palco è stato più di tre anni fa, un hardcore matinée organizzato da Teschio (GTA). Bevo per sciogliermi ma non posso permettermi di sbagliare niente, porco cazzo, concentrazione, concentrazione!
E poi guardo tutte le persone che ho davanti, facce amiche, facce nuove, facce sbronze, facce mai viste, facce che sono tantissime e al primo "1-2-3-4" di "Waiting for Klaatu" tutta la tensione se ne va via. Ragazzi, ora ci divertiamo.
I pezzi scivolano via una dopo l'altro, il pubblico ormai ampiamente sciolto dagli incendiari Ramones e dalle birre ci regala una performance splendida: tutti cantano, tutti ballano, tutti si divertono, per tutto il tempo. Non c'è un attimo di tregua, nemmeno durante i pezzi che non abbiamo mai registrato, nemmeno durante "Popcorn", omaggio doveroso a Er Meglio Gruppo. Uno dei nostri chitarristi, Maggiore, viene costretto a rifugiarsi sul palco, mentre l'altro, Marco, viene inghiottito dalla folla; EV è ubriaco e Napo, dietro alla batteria, sta dando il meglio di sé. Che bello. Pensavo che non mi mancasse tutto questo, e invece...
Per ultima eseguiamo, malissimo, "We're coming back". Più che una cover è una promessa.
Sono su di giri, la tensione se ne è andata via, posso bere un drink, rilassarmi e godermi i Carlos Dunga. Bevo in fretta un vodka lemon, faccio due chiacchiere di rito e mi precipito davanti al palco, sul pavimento del pubbetto che ormai è diventato un lago. I Carlos Dunga sono fichissimi, amici. Il loro spirito goliardico non pregiudica un'esibizione ineccepibile: si ride e si scherza, ma in quanto a suonare si fa sul serio. Ci travolgono, e noi travolgiamo fisicamente loro con invasioni di palco, voli a gamba tesa sopra il pubblico, Olas, cori. Non vedevo l'ora di vederli dal vivo e mi ritengo più che soddisfatta, sia di loro che di me e della mia partecipazione al casino durante lo show.
Ho questa idea che anche il pubblico debba fare la sua parte, durante un concerto; venerdì è stato incredibile perché nessuno si è risparmiato. Siamo usciti tutti fradici di birra e di sudore (proprio e altrui, eugh!) e tutti con un gran sorriso sulla faccia e io ho pensato che una cosa simile doveva assolutamente farla di nuovo, presto; nonostante ci lamentiamo sempre tanto, a Roma qualcosa di vivo c'è, eccome.
Non finirò mai di ringraziare chi ha reso tutto questo possibile, chi ci ha ospitato, chi ha partecipato in ogni modo; ed infine i Majors, che venerdì hanno chiuso un capitolo grande e bello per aprirne un altro, e SNAFUzine per lo spazio concesso alle mie romanticherie.
Signore torno a pulire i cessi signore!
La location, lo Strike, è un posto a cui è impossibile non affezionarsi: vuoi per l'ottima trattoria popolare e per i popolarissimi prezzi dei beveraggi, vuoi perché si tratta di un capannone industriale munito di rampe da skate, vuoi perché ci ho sempre visto gran bei concerti, vuoi perché sono una romantica ed è un posto pieno di ricordi, ma io allo Strike ci voglio bene.
La serata prometteva bene.
Quattro gruppi, ingresso up-to-you: i giovani Raise Your Pitch, i monolitici Romanez, i redivivi Majors, i mitici Carlos Dunga. Pubblico previsto: tanto. Ce lo sentivamo proprio che sarebbe stato tanto.
E la serata prometteva bene. Con l'avvicinarsi del gran giorno anche Ludovico (Lexicon Devils), l'instancabile e perennemente insoddisfatto organizzatore, complice anche una dedizione certosina alla causa, sembrava iniziare a rilassarsi e a pensare che sarebbe andato tutto alla grande.
La serata, insomma, prometteva bene.
A parte la pioggia, un po' seccante quando hai organizzato una serata all'aperto.
La scelta obbligata del piano B, ovvero suonare all'interno del "Pubbetto" di Strike, ha dunque trasformato una potenziale seratina all'aperto tra drink e chiacchiere con musica in sottofondo in uno dei concerti più memorabili di sempre, una sorta di massacro sul pavimento scivoloso di alcool versato all'interno di una sala che eufemisticamente definiremo "piccola", con palco a terra, perennemente affollata dagli avventori al concerto e al bancone, in cerca di riparo dalla pioggia.
La serata, dunque, prometteva più che bene.
Ai Raise Your Pitch tocca l'ingrato compito di aprire le danze: la gente non è moltissima e il livello alcolico non abbastanza elevato; il pubblico, non conoscendo bene le canzoni, è timido.
I Romanez, più che scaldarlo, lo incendiano: non voglio risultare blasfema, ma per chi non ha mai visto i Ramones dal vivo i ragazzi sono un buon palliativo. Veloci, aggressivi, divertenti, non mi stancano mai. Particolarmente in forma in questa occasione, la loro performance conta numerosi stage diving, numerosissime birre cadute a terra, innumerevoli cori e singalong. Tra la pioggia fuori e l'alcool e la musica dentro, il pubbetto è strapieno.
Ok, tocca a noi. L'ultima volta che sono salita su un palco è stato più di tre anni fa, un hardcore matinée organizzato da Teschio (GTA). Bevo per sciogliermi ma non posso permettermi di sbagliare niente, porco cazzo, concentrazione, concentrazione!
E poi guardo tutte le persone che ho davanti, facce amiche, facce nuove, facce sbronze, facce mai viste, facce che sono tantissime e al primo "1-2-3-4" di "Waiting for Klaatu" tutta la tensione se ne va via. Ragazzi, ora ci divertiamo.
I pezzi scivolano via una dopo l'altro, il pubblico ormai ampiamente sciolto dagli incendiari Ramones e dalle birre ci regala una performance splendida: tutti cantano, tutti ballano, tutti si divertono, per tutto il tempo. Non c'è un attimo di tregua, nemmeno durante i pezzi che non abbiamo mai registrato, nemmeno durante "Popcorn", omaggio doveroso a Er Meglio Gruppo. Uno dei nostri chitarristi, Maggiore, viene costretto a rifugiarsi sul palco, mentre l'altro, Marco, viene inghiottito dalla folla; EV è ubriaco e Napo, dietro alla batteria, sta dando il meglio di sé. Che bello. Pensavo che non mi mancasse tutto questo, e invece...
Per ultima eseguiamo, malissimo, "We're coming back". Più che una cover è una promessa.
Sono su di giri, la tensione se ne è andata via, posso bere un drink, rilassarmi e godermi i Carlos Dunga. Bevo in fretta un vodka lemon, faccio due chiacchiere di rito e mi precipito davanti al palco, sul pavimento del pubbetto che ormai è diventato un lago. I Carlos Dunga sono fichissimi, amici. Il loro spirito goliardico non pregiudica un'esibizione ineccepibile: si ride e si scherza, ma in quanto a suonare si fa sul serio. Ci travolgono, e noi travolgiamo fisicamente loro con invasioni di palco, voli a gamba tesa sopra il pubblico, Olas, cori. Non vedevo l'ora di vederli dal vivo e mi ritengo più che soddisfatta, sia di loro che di me e della mia partecipazione al casino durante lo show.
Ho questa idea che anche il pubblico debba fare la sua parte, durante un concerto; venerdì è stato incredibile perché nessuno si è risparmiato. Siamo usciti tutti fradici di birra e di sudore (proprio e altrui, eugh!) e tutti con un gran sorriso sulla faccia e io ho pensato che una cosa simile doveva assolutamente farla di nuovo, presto; nonostante ci lamentiamo sempre tanto, a Roma qualcosa di vivo c'è, eccome.
Non finirò mai di ringraziare chi ha reso tutto questo possibile, chi ci ha ospitato, chi ha partecipato in ogni modo; ed infine i Majors, che venerdì hanno chiuso un capitolo grande e bello per aprirne un altro, e SNAFUzine per lo spazio concesso alle mie romanticherie.
Signore torno a pulire i cessi signore!
Emme pulisce cessi con stile |
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