Foto di Timothy Greenfield-Sanders |
Speravo che questo giorno non sarebbe mai arrivato... lo speravo davvero! Eppure quando un anno e mezzo fa il Duca Bianco ha dichiarato che non sarebbe più salito sul palco avevo preso consapevolezza dell'amara realtà. Pochi giorni fa la mia paura si è concretizzata.
David Bowie lascia in eredità all'umanità un bagaglio immenso: non solo 27 album in studio, ma un terremoto artistico dove l'attore, il musicista e l'innovatore sono capaci di investire lo spettatore e di farlo emozionare in modo unico e inimitabile.
Blackstar, 08/01/16 |
Bowie esce di scena in punta di piedi ma senza dimenticare di salutare i suoi fan, inevitabilmente commossi. Blackstar, uscito appena 2 giorni prima della tragica dipartita, raccoglie le ultime 7 composizioni del London Boy (2 delle quali erano già state pubblicate un anno prima). Un album dall'approccio difficile, quasi incomprensibile, dove vengono riprese le sonorità dei pezzi strumentali della trilogia berlinese, reinterpretate come se fosse il 1995 e bisbigliate come se si volesse lasciare intendere qualcosa di più. Se al primo ascolto questi brani avrebbero potuto far storcere il naso, alla luce di questi giorni prendono un nuovo significato. Le canzoni trasudano angoscia, paura e confusione alternata a momenti di lucida triste consapevolezza.
Chi conosce la carriera del duca sa bene come lui abbia voluto che la sua produzione artistica non fosse meramente musicale (nel 1977 lo ha pure inciso, Waiting for the gift of Sound and Vision). Ed è per questo che credo che il vero regalo che Bowie ha fatto ai suoi fan sono i 2 videoclip appena pubblicati: per l'ultima volta mostra il suo volto emaciato in un contesto grottesco, comunicando il forte stress psicologico provato da chi sta accettando che la sua vita sta volgendo al termine (non a caso si è parlato di morte assistita). Come recita il primo verso di Lazarus, "Look up here, I'm in Heaven"... Yes, you are David. And we already Miss You!
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